Il Golem

Jacopo Gassmann, foto ©F. Centarosito.

Il Golem

di Juan Mayorga
regia Jacopo Gassmann
traduzione Pino Tierno

con Elena Bucci, Monica Piseddu e Woody Neri
luci Gianni Staropoli
scene e costumi Gregorio Zurla
foto F. Centaro

coproduzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Sardegna Teatro e Teatro Stabile dell’Umbria

Teatro India, Roma 
11 – 23 marzo 2025

Salinas – Il manoscritto non può uscire da qui.
Felicia – ?
Salinas – Il manoscritto starà sempre qui, ad aspettarla.
(Silenzio. Felicia apre il manoscritto.)
Felicia – Non capisco una parola. Come posso memorizzare parole che non capisco?
Salinas – Può copiare un disegno, anche se non sa cosa rappresenta? Può memorizzarlo? (Pone di fronte a Felicia carta e penna.)
lo le dirò cosa significano le parole, lei le copierà finché non sarà in grado di farlo ad occhi chiusi. Tratti le parole come disegni, imitando tratti e cancellature; se trova disegni, li tratti come parole. Nel modo in cui scriviamo le parole, così come nella maniera in cui le pronunciamo, è racchiusa la nostra vita, come in una torre senza porte né finestre. Quel che conta non è ciò che la parola vuole dire, ciò che il disegno intende rappresentare. Quel che conta è ciò che va oltre l’intenzione. La verità nasce dove l’intenzione muore.
La verità è la morte dell’intenzione.
Felicia – La verità è la morte dell’intenzione?
Salinas – Se si entra in un luogo a cercare qualcosa, si vede solo quel che si cerca.


Nota dell’autore
Avevo scritto El Golem alcuni anni fa, ma qualcosa è accaduto durante il lockdown — in mezzo allo sconvolgimento generale, all’angoscia di tanti, alla paura di altri che l’ordine in cui avevamo vissuto potesse crollare — che mi ha spinto a riscriverlo. Il tema centrale, credo, è il potere delle parole che ci avvolgono e ci attraversano e con le quali costruiamo i nostri incubi e i nostri sogni.


A mio avviso, Il Golem è forse l’opera più importante che Juan Mayorga abbia scritto in questi anni duri, complessi, per molti versi imperscrutabili. È un testo a sua volta straordinariamente denso, enigmatico e stratificato. Mayorga me lo ha spedito e rispedito più volte nel corso del tempo – meticolosamente riscritto, ripensato, riformulato – come se l’autore si fosse risvegliato da un incubo dalle infinite varianti, come se i costanti cortocircuiti e gli sconvolgimenti di questi ultimi anni ( dalla pandemia all’emergenza climatica, dalle guerre alla conseguente crisi economico-sociale) lo avessero portato a mettere il testo stesso in uno stato di crisi continua.
Partendo dalla grande leggenda ebraica del Golem, il testo racconta la storia di una donna che, per tentare di salvare suo marito da una malattia incurabile si affida a un’organizzazione segreta che promette di curare l’uomo, a patto che la donna impari tre nuove parole al giorno. Lentamente, come in una variante della metamorfosi kafkiana, capiremo che la donna sta accogliendo (o forse ha da sempre soppresso) dentro di sé l’identità e la parola di un leader rivoluzionario del passato.
La parola, appunto, intorno a cui tutto ruota, a partire dal mistero profondo di questo testo. La parola che al contempo può rigenerarci o segnare traumaticamente i nostri destini. La parola che può certamente liberarci ma anche trasformarci fino a non riconoscere più chi siamo. La parola che crea e distrugge.
La sensazione è che nel Golem Juan Mayorga abbia condensato tutto il sentimento (e lo smarrimento) del nostro tempo, chiamando a raccolta tanti dei suoi autori di riferimento: da Borges a Kafka, passando attraverso Primo Levi e il misticismo di Scholem fino ad arrivare a Walter Benjamin e le sue teorie di filosofia del linguaggio, l’autore getta il suo scandaglio negli abissi di questa epoca oscura, raccontandoci di un mondo che sta lentamente collassando o sfarinando – verrebbe da dire – mentre, come diceva Flaiano, “qualcosa si va lacerando nel tessuto divino dell’umano”.    

Jacopo Gassmann